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Viticoltura, il futuro sta nella resistenza

DiRedazione

Nov 11, 2015

Il valore della ricerca, da intendersi sia nel significato più alto dell’innovazioneunnamed scientifica, che in quello più prosaico dei costi per sostenerla, è stato l’argomento principe del convegno organizzato lo scorso 30 ottobre da Cantina Valpolicella Negrar nell’ambito del Premio Tesi di laurea “Vivi la Valpolicella”, e a cui ha partecipato, tra gli altri, Attilio Scienza, professore ordinario all’Università degli Studi di Milano.

Ostacoli che sembrano insormontabili, aggirati dal pensare differente. In particolare, Scienza ha parlato della necessità di un cambio di paradigma nella ricerca della viticoltura italiana, perché solo grazie ad un nuovo modo di pensare arrivano le grandi innovazioni scientifiche.

Un esempio di questo approccio viene offerto dalla ripresa in viticoltura di una tecnica della medicina umana, la correzione del genoma (genome editing). In particolare, Scienza ha riportato l’esempio di uno studio condotto, con successo, da un’équipe di ricercatori australiani sul genoma umano con lo scopo di correggere l’alterazione genetica che causa la distruzione dei globuli rossi nell’anemia falciforme. “Ebbene – ha riferito Scienza – la tecnica di correzione del genoma può essere trasferita alla vite europea che, per la propria storia evolutiva, non ha potuto sviluppare geni antifungini. Attraverso la correzione del genoma, che va annoverata tra le nuove tecniche di allevamento delle piante (new breeding technology) si opera sui geni di suscettibilità, la cui presenza è necessaria affinché si manifesti una malattia. L’inattivazione di questi geni porta ad un pianta resistente. L’esempio più noto è quello dei geni MildewResistancelocus O (Mlo), la cui inattivazione conferisce resistenza all’oidio alla vite. L’intervento è quindi comparabile ad una mutazione naturale, sull’esempio di quelle che fanno comparire improvvisamente su una vite che produce grappoli colorati, dei grappoli bianchi (Pinot nero>Pinot bianco). La tecnica non consiste nella transgenesi, ossia il trasferimento di geni estranei alla specie bensì nella cisgenesi, vale a dire la modifica di alcune basi di geni presenti nella stessa specie. E’ quindi possibile far diventare i nostri vitigni italici resistenti a oidio e peronospora e dare, di conseguenza, un’offerta di vino prodotto senza trattamento fitosanitario“.

Il costo della ricerca. “Per realizzare questo progetto, che renderebbe la ricerca viticola italiana leader nel mondo, sono necessari circa 15 milioni di euro l’anno per almeno 5 anni“, ha detto Scienza. “A questo riguardo – ha aggiunto – si potrebbe creare una rete nazionale costituita come una fondazione onlus o una società ad hoc composta da organismi istituzionali del settore (per es. Consorzi di difesa), Regioni, produttori di vino e, per il finanziamento, potrebbe essere istituito un contributo di scopo di 2 centesimi di euro per ogni bottiglia di vino prodotta in Italia, una cifra insignificante per i produttori ma, nella logica dei grandi numeri, decisiva per lo sviluppo della ricerca viticola italiana. Si potrebbero poi valorizzare commercialmente i ritrovati della ricerca per ricavare un profitto dalle royalty derivanti dal brevetto delle varietà resistenti, da reinvestire in ulteriori ricerche, ad esempio per trovare dei rimedi alla flavescenza dorata”.

Il progetto illustrato da Scienza è di valenza nazionale e strategico per la ricerca vitivinicola italiana, è importante che se ne parli, perché dobbiamo riuscire a passare da un agroecosistema industriale ad un agroecosistema ecologico per salvaguardare l’ambiente e la salute di noi tutti“, ha commentato Renzo Bighignoli, medico-viticoltore, presidente di Cantina Valpolicella Negrar.

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